Da circa un anno i nostri lettori ci chiedono: “Che pasta dobbiamo mangiare?”. Oggi proviamo a rispondere a questa domanda pubblicando i dati delle analisi disposte da GranoSalus e da I Nuovi Vespri. In questo articolo trovate i nomi delle marche di pasta ‘Bio’ che non contengono glifosato
Aggiornamento: le marche di pasta ‘Bio’ esaminate che non contengono glifosato diventano nove: ne abbiamo aggiunta una
Da tempo tanti lettori ci chiedono: “D’accordo, giusta la battaglia sul grano che state conducendo. Ma noi che pasta dobbiamo mangiare?”.
Interrogativo legittimo. Al quale oggi proveremo a rispondere pubblicando i risultati delle analisi di dieci marche di pasta ‘Bio’, otto delle quali non contengono glifosato.
Si tratta delle analisi volute da GranoSalus e da I Nuovi Vespri.
‘Bio’, è noto, è la parola che accompagna i prodotti agricoli biologici, coltivati senza l’ausilio di pesticidi, di diserbanti e di concimi chimici. E poiché – come i nostri lettori sanno – il glifosato è un erbicida, stiamo parlando di pasta che non contiene glifosato e, quindi, di pasta prodotta con grano duro che non contiene glifosato.
Poiché nel Sud Italia – Puglia, Sicilia e Basilicata in testa – il grano duro matura naturalmente grazie al nostro sole, possiamo affermare che questa pasta ‘Bio’ potrebbe essere prodotta, in buona parte, con i grani duri del Mezzogiorno d’Italia.
Ma andiamo ai nomi delle marche di pasta che sono state analizzate.
Parliamo di spaghetti.
La prima marca di spaghetti ‘Bio’ che non contiene glifosato è la Coop Vivi Verde Bio;
la seconda è la Eurospin Tre Mulini Bio;
la terza è la Alce Nero Bio 100% italiano;
la quarta è Libera Terra Bio;
la quinta è Daunia & Bio;
la sesta è Olga Bio;
la settima è Granoro Bio;
l’ottava è Barilla Bio.
Aggiornamento: a queste otto aggiungiamo una nona marca di pasta ‘Bio’ esaminate che non contiene glifosato: si tratta della pasta Biologica Felicetti.
La nona marca di spaghetti ‘Bio’ fatta esaminare (che diventa la decima) contiene, invece, lo 0,027 milligrammi per kg di glifosato: si tratta degli spaghetti La Finestra sul cielo Bio.
La decima marca di pasta ‘Bio’ fatta esaminare (che diventa l’undicesima) – la De Cecco Bio – contiene tracce di glifosato che comunque sono al di sotto dei limiti di rilevabilità del laboratorio che ha effettuato le analisi.
Precisiamo che le due marche di spaghetti che contengono glifosato e tracce di glifosato sono al di sotto dei limiti di legge.
Tuttavia, visto che il glifosato è un interferente endocrino, come ha confermato lo studio pilota della dottoressa Fiorella Belpoggi dell’istituto di ricerca ‘Ramazzini’ di Bologna, sarebbe bene che il glifosato fosse totalmente assente.
Altra precisazione importante: i lettori ci potrebbero chiedere:
“Ok, queste otto marche non contengono glifosato: e le micotossine DON?”.
Domanda legittima. Alla quale facciamo rispondere il presidente di GranoSalus, Saverio De Bonis:
“Cominciamo col dire che, di solito, la presenza di glifosato si accompagna alla presenza di micotossine DON. Per almeno due motivi. In primo luogo perché – come avviene nelle aree fredde e umide del Canada – quando la pianta di grano duro viene fatta maturare artificialmente ricorrendo al glifosato si indebolisce e diventa più sensibile agli attacchi dei funghi che producono le micotossine DON. In secondo luogo va detto che la presenza di umidità favorisce la proliferazione dei funghi e, quindi, delle micotossine”.
Con De Bonis affrontiamo anche un altro aspetto della pasta ‘Bio’: l’aspetto economico. Partendo dal costo al dettaglio di un kg di spaghetti ‘Bio’, superiore mediamente a 3 euro. Però, come ci spiega il presidente di GranoSalus, solo una piccola parte dei grandi guadagni che stanno dietro alla pasta ‘Bio’ arriva agli agricoltori.
Esaminiamo i ‘numeri’ di quest’anno, facendo riferimento al grano duro del Sud Italia.
Ebbene, un quintale di grano duro tradizionale, quest’anno, è stato pagato agli agricoltori in media 20 euro al quintale: un prezzo basso.
Mentre un quintale di grano duro ‘Bio’ è stato pagato agli agricoltori 30 euro al quintale, 10 euro in più rispetto al tradizionale.
“Quello che abbiamo scoperto – ci dice De Bonis – è che sono i commercianti e i mugnai a guadagnare tanto sul grano duro ‘Bio’. Questo avviene perché non esiste un controllo reale sui prezzi. La storia, per noi, non è nuova. Da un anno chiediamo l’istituzione della CUN, prevista da una legge dello Stato italiano, legge non ancora applicata. Ricordiamo che, dallo scorso maggio, esiste un Decreto attuativo che è rimasti lettera morta”.
La CUN, per la cronaca, è la Commissione Unica Nazionale che dovrebbe controllare l’andamento delle compravendite di grano. Infatti, se un prodotto è molto richiesto – in economia politica di dice “se cresce la domanda” – il prezzo deve salire.
“Il nostro dubbio, che poi è più di un dubbio – ci dice sempre De Bonis – è che la domanda di grano duro tradizionale del Sud Italia e, ancora di più, la domanda di grano duro ‘Bio’ siano entrambe sostenute, con picchi maggiori per il grano duro ‘Bio’. Ma i prezzi, stranamente, non si alzano, o si alzano un po’ solo per il grano duro ‘Bio’. Il risultato è che buona parte del reddito che dovrebbe andare agli agricoltori va ai commercianti e ai mugnai”.
“Con l’istituzione della CUN – conclude il presidente di GranoSalus – quella che, alla fine, non è altro che una speculazione ai danni degli agricoltori potrebbe essere quanto meno attenuata”.
Ci potrebbe essere anche un secondo modo per ridurre, se non eliminare, la speculazione in danno dei produttori di grano duro del Sud: basterebbe consorziare i produttori di grano duro del Sud Italia – cominciando magari con i produttori di grano duro ‘Bio’ – creando un’offerta unica invece che frastagliata.
Dovrebbero servire anche a questo gli assessorati all’Agricoltura delle Regioni, con riferimento, soprattutto a Puglia, Sicilia e Basilicata, Regioni leader in Italia nella produzione del grano duro. O no?
Foto tratta da it.depositphotos.com
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